Parco di Monte Catalfano
Il polmone verde di Bagheria, un angolo di vera natura che si estende per circa 274 ettari e che sovrasta il territorio abitato, comprende, da ovest ad est, il Monte D’Aspra (Cozzo San Pietro), Monte Catalfano e Monte Città (sede dell’antica città di Solunto). Il parco possiede numerosi ingressi ed è visitabile e aperto al pubblico durante tutto l’arco dell’anno con numerosi percorsi e sentieri oltre che un’area attrezzata libera. La difficoltà di percorrenza a piedi è medio/bassa ed è adatta a tutte le persone con un minimo di allenamento fisico-sportivo; è raggiungibile anche via auto fino a metà tragitto. I numerosi sentieri rendono l’area particolarmente suggestiva e paesaggistica: specialmente in cima visuali spettacolari accompagneranno dei giochi di colori stupendi tra il verde degli alberi, la vegetazione tipica della macchia mediterranea e il blu del mare, scorgendo il mar Tirreno verso nord con lo splendido Capo Zafferano e il territorio di Mongerbino ai vostri piedi, la città di Palermo con il suo relativo golfo verso ovest, verso sud la vista di Bagheria dall’alto con i monti della provincia come sfondo mentre verso est sarà possibile osservare il borgo marino di Porticello e svariati paesi che si affacciano sul mare lungo il golfo di Termini Imerese, oltre che una visuale dall’alto di Solunto, sito archeologico estremamente sottovalutato tra i più affascinanti della Sicilia.
I Sentieri
1) Sentiero delle orchidee: punto di partenza ed arrivo, Mongerbino; lunghezza del percorso: 4 Km circa; tempo di percorrenza, circa 3 ore. L’escursione parte subito dopo Capo Mongerbino e si prosegue, accompagnati dai forti profumi della flora locale, raggiungendo l’anfiteatro naturale della Vignazza, un semicerchio di roccia formato da numerose grotte e ricco di rare specie di orchidee. Continuando a salire il percorso si inerpica con panorami mozzafiato sul Capo Zafferano e sulla costa e infine, attraverso tornanti e curve, scende fino a tornare al pianoro di Portella Vignazza, da cui si ritorna al punto di partenza.
2) Sentiero delle grotte e degli zubbi: punto di partenza ed arrivo, Mongerbino; lunghezza del percorso: 4,5 Km circa, tempo di percorrenza di circa 3,5 ore. La partenza di questo itinerario è uguale al precedente fino a sotto Portella Vignazza. Da qui, tuttavia, si scende circondati da limoni ed ulivi e attraverso un piccolo sentiero nascosto si giunge alla “Grotta dell’Eremita”: dalla cui parete rocciosa si può scorgere un disegno preistorico. Tornando indietro verso la Vignazza e continuando poi per un sentiero che raggiunge le sue pareti rocciose, si trova l’imboccatura della “Grotta del pellegrino”: una grotta di origine marina. Riprendendo il sentiero si continua in leggera salita e dopo una mezz’ora si arriva alle “bocche recintate dello Zubbio” di Cozzo San Pietro, la grotta di origine tettonica più interessante dal punto di vista carsico, con formazione a colonne dovute alla ramificazione di stalattiti. A circa un quarto d’oro da qui si può arrivare al bivio che segnala lo “Zubbio ad est di Cozzo Tondo”. Ad una distanza percorribile in circa trenta minuti, poi, camminando per un sentiero, che scende per tornanti, appare la grande apertura dello “Zubbio a N.O. di C. San Pietro”, il più profondo di tutti, spalancata in direzione del mare.
3) Ascesa a Monte Catalfano: punto di partenza ed arrivo, area parcheggio Kafara Hotel; lunghezza percorso 3,5 km; tempo di percorrenza 3 ore circa. Dall’Hotel, man mano che si acquista quota, si aprirà un ampio panorama che raggiunge la Rocca di Cefalù. Dopo un bel tratto in salita, il sentiero diviene meno ripido e gira verso il Golfo di Palermo. Continuando incontreremo ad un bivio un cartello che indica la nostra direzione, cioè il “Punto Trigonometrico” che coincide con la cima del monte.
4) La “Cittadella di Solunto”: punto di partenza ed arrivo, Antiquarium; lunghezza del percorso, circa 1 km; tempo di percorrenza, 2 ore circa. Il nostro percorso parte dall’ingresso dell’area archeologica di Solunto, e permette di vivere per intero il fascino dell’antica città ellenistico-romana. Un viaggio nello spazio e nel tempo per cui ci si trova catapultati a quasi 2500 anni fa. Il percorso fa conoscere l’impianto urbano della città (cosiddetto ippodameo) con la sua rete di vie incrociate ad angolo retto a formare regolari isolati (insulae).
Entriamo subito nell’atmosfera della città percorrendo l’asse viario principale (plateiaia) orientata in senso NE-SO nota anche come “via dell’Agorà”, incontrando i luoghi più significativi dell’area archeologica come l’edificio detto gimnasium, la cosiddetta casa “di Leda” chiamata così per il soggetto raffigurato sulle pareti di uno dei suoi ambienti, l’area sacra con il famoso altare a tre betili.
Approfondimento
Le rocce calcaree di Monte Catalfano oltre ad una millenaria storia naturale possono raccontarci la storia di una plurisecolare civiltà umana. Alle sue pendici affacciata sul mare si sviluppò in età punica l’insediamento di Solunto, città cantata nei secoli da numerosi autori greci e romani. Le prime notizie storiche relative alla presenza dell’uomo in questo territorio ci arrivano da Tucidide che, nel VIII secolo a. C. all’epoca della prima espansione greca, ci informa dell’esistenza (insieme a quella di Mozia e di Palermo) della città di Solunto. Le attuali vestigia ellenistico-romane presenti su Monte Catalfano sono i resti della città così come doveva essere a partire dalla metà del IV secolo a. C. Essa fu costruita ex novo dopo che Dionisio I di Siracusa distrusse tutte le città fenicie ed elime della Sicilia occidentale come ci dice Diodoro. La città si dispone a terrazze su un pianoro avente un dislivello di circa 50 m sulla collina che si affaccia sul mare denominata appunto Monte La Città, una delle alture che compongono la parte sudorientale di quello che più genericamente è definito Monte Catalfano. Adolfo Holm, uno dei più autorevoli storici della Sicilia antica affascinato forse dalla ricchezza di edifici e dal chiaro impianto urbanistico che la città offre, amò definire la città di Solunto una “Pompei in piccolo”.
Le ultime notizie su questa parte del territorio bagherese ci giungono da Paolo Diacono, uno dei maggiori storici del Medioevo che ci informa della strage di Soluntini, dei saccheggiamenti e delle devastazioni compiute dagli Arabi che nel 831 d. C., dopo lungo assedio, occuparono Palermo. A largo di Capo Zafferano poi, le navi dei bizantini corse in aiuto della città e respinte dagli Arabi furono distrutte da una tempesta. Con la scomparsa della civiltà soluntina, in seguito ad un progressivo deterioramento economico, il territorio viene progressivamente abbandonato fino a divenire una folta foresta, nota in periodo medievale come “floresta dicta Bacharia” sfruttata dall’uomo solo per la raccolta della legna.
Il paesaggio e le grotte
Il tratto di costa rocciosa che come un frastagliato merletto di calcare si estende fra Capo Mongerbino e Capo Zafferano presenta una notevole varietà morfologica con alcuni tratti di notevole interesse e suggestione. Fra di essi c’è sicuramente il noto Arco Azzurro di Capo Mongerbino. Il crollo di una grotta marina forse, di cui si è conservato soltanto uno splendido arco di roccia a sfidare la forza di gravità, ha fatto di questo luogo un angolo di particolare bellezza naturale. Una famosa industria produttrice di cioccolato per pubblicizzare i suoi “baci” ne ha voluto fare negli anni ‘60 “il” luogo romantico per eccellenza sistemando su di esso due innamorati che si baciano teneramente. Poi un susseguirsi di piccole insenature e scogli frastagliati fino a giungere al Capo Zafferano dove in alcune calette, note localmente come le “piscine”, per la presenza di accumuli ghiaiosi sui fondali, il mare acquista un particolare color azzurro smeraldo. A chiudere il tutto lo spettacolare promontorio roccioso di Capo Zafferano, una falesia a picco sul mare di 227 metri di altezza che nasconde in cima una Torre di Guardia cinquecentesca mentre ai piedi è impreziosita da una caratteristica costruzione con Faro. Il paesaggio poi è dominato dal complesso montuoso di Monte Catalfano. Sulla carta in realtà con questo nome è indicato soltanto l’altura centrale che con i suoi 373 m. slm rappresenta anche la cima più elevata. Si distinguono poi ad ovest Cozzo San Pietro (o Monte d’Aspra) con i suoi 345 m slm e Monte la Città (235 m slm) noto localmente anche con il nome di Monte della Cittadella in quanto sede dell’antica città di Solunto.
Sul Monte vi sono poi numerose grotte di natura tettonica o di origine marina. Le grotte di genesi tettonica sono note nel territorio come “zubbi” ed hanno in genere uno sviluppo verticale che in alcuni casi raggiunge anche diverse decine di metri. Si sono generate grazie a notevoli movimenti o crolli di grandi masse rocciose. Fra di esse di particolare fascino per la ricchezza di fenomeni carsici con elementi ancora attivi ed attività di stillicidio risulta lo Zubbio di Cozzo San Pietro.
Le concrezioni calcaree formatesi nel tempo al suo interno assumono aspetti e forme propri di grotte molto più famose. Si possono così osservare morfologie di natura carsica cosiddette “ad organo” con una serie di colonnine accostate a simulare le canne del noto strumento musicale oppure “a muro” come la massa di stalagmiti che forma una muraglia al centro della cavità o ancora le formazioni “coralline”, piccole stalagmiti a bastoncino con accenni di ramificazione. Ci sono poi le grotte di origine marina dovute cioè alla lenta azione erosiva delle onde del mare. Questo tipo di cavità si riconoscono per la presenza diffusa al loro interno di piccole perforazioni nelle pareti dovute all’azione di organismi litofagi quali il dattero di mare. Tutta la costa è sforacchiata da piccole cavità o grotte di origine marina. Fra di esse la Grotta di Cala dell’Osta dove è stata rinvenuta una mandibola di Elefante nano osservabile al Museo Paleontologico “G. G. Gemmellaro” di Palermo. Troviamo grotte di origine marina però anche in quota a testimonianza di epoche passate in cui il livello del mare e la massa rocciosa del monte erano molto diversi da quelli che possiamo osservare adesso. La più interessante di queste grotte presenti sulle pendici del Monte è sicuramente la Grotta dell’Eremita. Al suo interno sono state trovati resti di una sua lontana frequentazione animale: costole di Bos primigenius, un bue preistorico vissuto nel Pleistocene. La grotta è stata probabilmente frequentata in periodo preistorico anche dall’Uomo come si evince dalla presenza al suo interno di un dipinto in nero raffigurante una figura antropomorfa. Dal confronto con l’arte preistorica presente in altre grotte più famose, il dipinto è stato attribuito all’età eneolitica (circa 5.000 anni a. C.).
Sulle tracce del Falco pellegrino ed altri rapaci
Gli ambienti rocciosi con pareti e falesie sono l’habitat ideale per molti rapaci che utilizzano questi ambienti per la caccia, la riproduzione e la nidificazione. Il Gheppio (Falco tinnunculus) è, fra di essi, sicuramente il rapace più comune e più facilmente osservabile. Specializzato nel volo librato, frequenta habitat diversi avvicinandosi molto od entrando addirittura in città. Sarà altrettanto facile osservare un altro rapace, più massiccio, con larghe ali arrotondate (che in volo tiene con la punta all’insù) mentre sale sempre più alto compiendo in cielo dei larghi cerchi concentrici. Si tratta questa volta della Poiana (Buteo buteo), rapace dal piumaggio bruno rossiccio molto variabile da scuro a chiaro fino quasi al bianco. Se invece concentriamo la nostra attenzione alle pareti più scoscese e a strapiombo del monte, noteremo ancora un altro rapace fare “l’aquilone” per poi buttarsi in picchiata fulminea. Si tratta dell’uccello più veloce del mondo ed uno dei più grossi ed alteri falconi del nostro Paese. Durante le sue picchiate di caccia può raggiungere anche i 240 Km orari! A questa altissima velocità il Falco pellegrino (Falco peregrinus) riesce nonostante tutto ad essere molto preciso nel colpire o ghermire la propria preda in volo. Egli è il sovrano delle falesie di Monte Catalfano dove caccia soprattutto uccelli di medie e piccole dimensioni (piccioni selvatici e domestici, storni, cardellini).
Rarità botaniche ovvero i fiori all’occhiello di Monte Catalfano
Sulle rocce più inaccessibili dove raramente è arrivata la mano dell’uomo si è conservata la vegetazione che maggiormente rappresenta l’aspetto originario del luogo. Le rupi rocciose esposte a Nord o a Nord Est ospitano così una vegetazione rupicola di eccezionale pregio con numerose entità endemiche o di particolare interesse fitogeografico. Fra esse l’Iberide semprevivo (Iberis semperflorens) che nel periodo invernale e primaverile si riempie di infiorescenze ricche di piccoli fiorellini candidi ed odorosi o la Stellina di Sicilia (Asperula rupestris) con i suoi rami eretti che in primavera si riempiono di piccoli fiorellini roseo-violetti. Fra le rocce si fanno notare anche il Garofanino rupestre (Dianthus rupicola) con i suoi fiori rosa lilla raccolti in densi mazzetti e la Violaciocca rupestre (Matthiola incana subsp. rupestris) con i suoi vistosi fiori di un intenso color violetto, il Cavolo rupestre (Brassica rupestris subsp. rupestris) dai fiori giallo pallido, la Finocchiella rupestre (Seseli bocconi subsp. Bocconi) con le sue infiorescenze ad ombrella bianco-verdastre, il Ciombolino (Cymbalaria pubescens) con i suoi fusti pelosi ricadenti su cui spiccano i piccoli fiori azzurro-violacei, la spettacolare Erba perla (Lithodora rosmarinifolium) dai bellissimi fiori color blu genziana ed il Vilucchio turco (Convolvolus cneorum) con i suoi grandi candidi calici venati di rosa. Le aree rupestri sono anche il regno della più rara fra le piante presenti sul monte: il Fiordaliso rupestre (Centaurea ucriae subsp.todari). Essa è una varietà esclusiva di Monte Catalfano e si fa subito notare per i suoi grandi capolini color lilla-porporini. Nei prati aridi, nelle garighe e negli habitat semirupestri troviamo poi altre rarità tipicamente nordafricane come la Speronella (Delphinium emarginatum) che con la sua alta infiorescenza eretta e ricca di vistosi fiori blu-violacei si fa subito notare, l’Euforbia di Bivona (Euphorbia bivonae) di particolare fascino e bellezza per i suoi rami rossicci che contrastano con il verde glauco delle foglie o la Serratula (Klasea flavescens subsp. mucronata) dai graziosi capolini sqamoso-spinosi e fiori prupurei. Specie endemica della Sicilia e della Puglia, il Giaggiolo siciliano (Iris pseudopumila) infine sorprende per la bellezza “rinascimentale” dei suoi odorosi fiori lilla bordati di giallo. Le rocce calcaree che si affacciano sul mare sono l’habitat preferito anche dal Perpetuino rupestre (Helichrysum rupetre var. rupestre) che come dice il nome (dal greco Elios = sole e crisos = oro) con i suoi fiori gialli illumina i nostri litorali rocciosi. Negli incolti possiamo trovare infine una perla di rarità segnalata per la Sicilia solo in quest’area, il Lathyrus saxatilis specie relitta e pertanto di particolare rilevanza fitogeografica.
Splendori botanici, le orchidee
Nonostante le sue ridotte dimensioni, il territorio di Monte Catalfano è straordinariamente ricco di orchidee selvatiche (ben 33 specie)! Dall’inverno alla primavera inoltrata fra gli ambienti di macchia e gariga, nei prati e nelle zone soggette a riforestazione numerose sono le fioriture di orchidee che rendono particolarmente prezioso questo luogo. Dalle più rare alle più comuni, tutte esercitano un potente fascino ed incuriosiscono l’escursionista. Si va da specie comuni e facili da osservare per le dimensioni della pianta come la Barlia o Barbone (Barlia robertiana) che, con la sua infiorescenza fatta di deliziosi e profumati fiori color rosa lilla sfumati di verde, raggiunge fino ad ottanta centimetri di altezza, a specie più difficili da individuare come il Fior di Bombo (Oprhrys bombyliflora) che con i suoi piccoli fiori poco più grandi di 1 centimetro raggiunge in genere solo un’altezza di 10 cm. Il genere più diffuso è sicuramente il genere Oprhrys con specie molto rare come l’Ofride mirabile (O. mirabilis), l’ Ofride a mezzaluna (O. lunulata), l’Ofride dal becco acuto (O. oxyrrhynchos) e l’Ofride palermitana (O. explanata) endemismi nella nostra sola Isola. Anche il genere orchis è molto presente con specie rare come l’Orchidea cangiante (O. commutata) endemismo siculo o l’Orchidea di Branciforti (O. branciforti) presente solo in Sicilia, Sardegna ed in una sola stazione in Calabria. La più profumata fra le orchidee presenti sul monte è sicuramente l’Orchide profumata (Anacamptis coriophora subsp. fragrans) che come dice il nome scientifico emana una “fragranza” che sa di vaniglia. Un’orchidea che si può cercare anche “a naso” fra la macchia gariga nel mese di maggio. La più strana e “pelosa” è invece l’Ofride azzurra (Ophrys speculum) che, molto piccola, si fa notare per le lunghe “ciglia” e per la lucida macchia blu presenti sul labello da cui il nome comune di Specchio di Venere.
(fonte: L’Associazione di promozione turistica “Natura e Cultura”)
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